Chimica ed energia

LA POLITICA CLIMATICA GLOBALE: I RISULTATI CONSEGUITI E LA POSIZIONE UE NEL CONTESTO GLOBALE

Il 2022 ha visto una ulteriore diffusione tra il grande pubblico della consapevolezza del cambiamento climatico come massima emergenza da fronteggiare. Tale consapevolezza, al momento, non è quasi mai accompagnata da un’adeguata informazione sulle reali difficoltà, sui costi associati alle politiche da realizzare e sulla loro distribuzione nella società.
Ciò è vero soprattutto in Europa, dove si mettono in atto gli sforzi maggiori.

Rispetto agli obiettivi dichiarati, è diffusa la consapevolezza dell’insufficienza delle azioni in atto a livello globale, ma è interessante esaminare i dettagli e la posizione dell’UE, nel contesto globale, utilizzando i dati forniti dalla fonte di maggiore autorevolezza rappresentata dal Rapporto annuale Emissions Gap Report del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (United Nations Environment Programme – UNEP), la cui ultima edizione è dell’ottobre 2022.

Come noto, il riferimento principale della politica climatica globale è il cosiddetto Accordo di Parigi (Paris Agreement - PA), formalizzato alla COP 21 di Parigi nel 2015 con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale (rispetto ai livelli dell’era pre-industriale) a 2°C, e preferibilmente a 1,5°C.

Quanto alle azioni, essendosi valutata l’impraticabilità di obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni di gas serra, esse sono basate sulle cosiddette Intended Nationally Determined Contributions (INDC), dichiarate da ciascun Paese (definito anche Parte, con EU 27 considerata come una Parte) e riviste ogni cinque anni.

Sono stati definiti i livelli di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030 corrispondenti agli obiettivi scelti associati al raggiungimento degli stessi obiettivi, oltre ai anche i livelli di emissioni residue consentiti (Carbon Budget).
Il rapporto UNEP evidenzia essenzialmente la differenza (gap) tra livelli di emissione promessi con le INDC e quelli richiesti dagli obiettivi del PA (solo in modo cumulativo, non essendoci modo di valutare l’adeguatezza delle misure di un singolo Paese).

Emissioni globali di gas serra 1990 – 2021
L’esperienza finora registrata fa emergere un doppio problema: da un lato l’insufficienza della riduzione delle emissioni di gas serra corrispondenti ai contributi (NDC) dichiarati e, dall’altro, l’incompleta realizzazione delle stesse NDC (peraltro insufficienti).

Anche per questa ragione, dopo la COP 26 sono state sollecitate nuove NDC, per arrivare a ridurre il gap al 2030. Per esaminare il contenuto del Rapporto UNEP, occorre partire dal valore delle emissioni di gas serra. È utile richiamare il diverso livello di affidabilità dei dati di emissioni di gas serra, distinguendo tra:

  • Emissioni dirette di CO2 (con la massima affidabilità);
  • Emissioni dirette diverse da CO2 (con dati meno precisi);
  • Emissioni corrispondenti all’uso del suolo, ai cambiamenti di uso del suolo e alla silvicoltura (Land Use, Land Use Change and Forestry - LULUCF), con affidabilità ancora minore e con problemi di disuniformità di valutazione, per esempio, tra i dati riportati alle Nazioni Unite dagli Stati e quelli usati dalla letteratura per il calcolo degli scenari e dei modelli.
I dati delle emissioni di gas serra, riportati in Tavola 9.1, sono disponibili fino al 2021, e quelli LULUCF fino al 2020.

Attualmente sono in corso revisioni delle diverse metodologie seguite per la misura delle emissioni LULUCF.
Anche in assenza dei dati LULUCF del 2021, si può verificare che le emissioni totali (esclusi LULUCF) pari a 52,8 GtCO2eq, hanno ripreso a salire, dopo la (temporanea) frenata del 2020 dovuta alla pandemia, e probabilmente il valore 2021 incluso LULUCF, quando disponibile, farà segnare un nuovo record.

Le valutazioni risultanti sono le seguenti:

  • I contributi dei Paesi successivi alla COP 26 hanno consentito solo una riduzione marginale (0,5 GtCO2eq,) delle emissioni previste al 2030 rispetto alle previsioni precedenti la COP 26.
  • I Paesi sono complessivamente in ritardo anche nella realizzazione delle NDC dichiarate, pur insufficienti.
  • In relazione ai riferimenti di temperatura, le politiche vigenti corrispondono ad un aumento di temperatura di 2,8°C a fine secolo. La completa realizzazione delle NDC non soggette a condizioni ridurrebbe il valore a 2,6°C; la realizzazione delle NDC soggette a condizioni ridurrebbe il valore a 2,4°C.

Per rimanere in linea con l’obiettivo di riscaldamento a 1,5°C servirebbe una riduzione del 45% delle emissioni entro il 2030 (il rapido declino dovrebbe poi continuare per non esaurire il ‘’carbon budget’’ residuo). Anche limitando l’obiettivo a 2°C occorrerebbe una riduzione del 30% delle emissioni al 2030.

  • Dopo la ‘’frenata’’ delle emissioni globali tra 2019 e 2020 (diminuzione del 4,7%, a seguito della riduzione del 5,6% delle emissioni di CO2 da combustibili fossili e industria) le emissioni di CO2 al 2021 sono tornate al valore del 2019, valore superato per le emissioni da carbone.

Le emissioni di metano e N2O sono rimaste stabili tra 2019 e 2021, mentre quelle da gas fluorurati hanno continuato a crescere.

  • Le emissioni globali di gas serra hanno continuato a crescere negli ultimi 10 anni, solo con un ritmo ridotto, passato dal 2,6%/anno tra 2000 e 2009, a 1,1%/anno tra 2010 e 2019.
  • Le emissioni di 35 Paesi (pari al 10% delle emissioni globali) hanno cominciato a decrescere, ma le riduzioni registrate sono state più che compensate dalla crescita delle emissioni degli altri Paesi.
  • Le stime delle emissioni LULUCF positive e negative (sinks) sono al contempo significative e incerte.


EMISSIONI MOLTO DIFFERENZIATE A LIVELLO DI REGIONI, PAESI E ABITAZIONI

Nel 2020 il 55% delle emissioni globali di gas serra corrisponde ai primi sette emettitori del G20 (Cina, EU 27, India, Indonesia, Brasile, Fed. Russa e USA) e al trasporto internazionale.
I Paesi del G20 rappresentano il 75% delle emissioni di gas serra globali.
Le emissioni pro-capite di gas serra sono molto differenziate.

Nel 2020 le emissioni LULUCF sono state negative in 17 dei Paesi del G20, inclusi Cina, USA, India, EU 27 e Federazione Russa. Ciò significa che le emissioni (esclusi LULUCF) sono più alte (del 33% per la Fed. Russa, del 17% per gli USA, e ca 8% per Cina e EU 27). Al contrario, il settore LULUCF risulta essere emettitore netto per Brasile e Indonesia, rappresentando il 22% e 44% delle rispettive emissioni.

La situazione delle emissioni per i principali emettitori, sia in termini di emissioni totali che di valori pro-capite, è rappresentata nelle Tavole 9.2 e 9.3, che riportano i valori 2020 e le tendenze dal 1990.
Fortissime differenziazioni emergono a livello di abitazioni (households):

  • Emissioni 1,6 tCO2eq pro-capite per il 50% della fascia bassa (che vale il 12%).
  • Emissioni 110 tCO2eq pro-capite per l’1% della fascia alta, che contribuisce per il 17% del totale.

Emissioni di gas serra 2020 e trend da 1990Emissioni gas serra 2020 pro-capite e trend da 1990



GLI IMPEGNI VERSO EMISSIONI ‘NET-ZERO’ E IL GIUDIZIO DI UNEP

Come anticipato ad inizio capitolo, il Rapporto annuale Emissions Gap Report del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, indica l’adozione di obiettivi ‘net-zero’ per 88 ‘Parti’ (con EU considerata come una parte) corrispondenti al 79% delle emissioni globali.
Il Rapporto non esprime fiducia nella credibilità e fattibilità degli impegni (‘...current evidence does not provide confidence that the nationally determined net-zero targets will be achieved...’).

IMPEGNI DICHIARATI E TREND DELLE EMISSIONI

Una sezione del Rapporto mostra la situazione puntuale del trend delle emissioni, con eventuali target ‘net-zero’ (per tutti i gas serra, per la sola CO2, o con copertura incerta).
Tra i Paesi con trend di emissioni crescenti troviamo Cina, India, Fed. Russa, Arabia Saudita, Turchia.
La situazione non soddisfacente, in relazione alle NDC (anche quelle aggiornate) è illustrata dalla Tavola 9.5.

Emissioni di gas serra nel 2021 e nel 2019Effetto delle NDC nuove e aggiornate sulle emissioni 2030, rispetto alle NDC iniziali

LE PRESTAZIONI UE IN POLITICA CLIMATICA E L’AUMENTO DEGLI OBIETTIVI

Come noto, per le politiche climatiche UE, già molto ambiziose rispetto alle altre regioni, sono stati adottati obiettivi ulteriormente “avanzati”.
Ricordiamo, sulla base del pacchetto Fit for 55, l’aumento dell’entità della riduzione delle emissioni al 2030 (rispetto al 1990) da -40% a -55% (che per i settori compresi nello schema di Emissions Trading significano il passaggio per la riduzione delle emissioni al 2030, rispetto al 2005, dal -43% a -62%).

Inoltre, è rilevante aggiungere:

  • l’obiettivo di neutralità climatica al 2050 (emissioni residue di gas serra compensate da emissioni ‘’negative’’, o sottrazioni di gas serra dall’atmosfera).
  • Il passaggio graduale dallo schema ET allo schema CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) con eliminazione delle quote gratuite e l’introduzione di “CBAM charge’’, pagata dagli importatori in UE per i settori inizialmente nel campo di applicazione del nuovo meccanismo.
  • L’estensione dello schema ET all’aviazione e alla navigazione marittima.
  • La creazione di uno schema ET (separato) per i combustibili fossili impiegati per trasporto e riscaldamento, con impatti al di fuori dell’industria manifatturiera.
  • L’adozione di obiettivi molto ambiziosi per l’uso di idrogeno rinnovabile (tale denominazione è tecnicamente impropria, mancando in UE una definizione di idrogeno rinnovabile, con le misure basate sulla categoria RFNBO (Renewable Fuels of Non Biological Origin), prevista dalla proposta di revisione della Direttiva RED II sulle energie rinnovabili).
  • La prevista definizione di un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra al 2040, come ‘’conseguenza’’ dell’obiettivo di neutralità climatica al 2050.

Come si vede, si tratta di un insieme di provvedimenti caratterizzati da un’intensità mai registrata in passato, e dagli impatti limitatamente prevedibili, anche per le incertezze sull’effettiva efficacia di misure come il CBAM, con molti aspetti di fattibilità e operatività che devono ancora reggere la prova dei fatti. Un esempio per tutti: l’obiettivo di neutralità climatica al 2050 non è basato su un’adeguata analisi di impatto, ovverosia il raggiungimento dell’obiettivo non è fattibile basandosi sulle tecnologie attualmente disponibili, ma scommettendo sulla disponibilità (in tempo utile) di tecnologie “breakthrough’’.
Merita una riflessione anche il fatto che il trend delle emissioni globali, in chiaro aumento nel breve-medio periodo, nascondendo e sovrastando il possibile effetto delle sole azioni UE, peserà anche sui cittadini europei, facendo mancare la visibilità di un “corrispettivo” dei pur ingenti sforzi realizzati.

GLI IMPATTI SULLA POLITICA ENERGETICA

Data l’importanza del tema del contrasto al cambiamento climatico, la trasformazione descritta sarebbe ben poco contestabile, se non fosse per le conseguenze sul prezzo dell’energia delle politiche climatiche adottate.
Si viene così a penalizzare la caratteristica fondamentale di ogni politica energetica, e cioè la disponibilità di energia abbondante e a costi sostenibili per i consumatori di energia.
In realtà la disponibilità di energia in abbondanza e a costi sostenibili resta nelle dichiarazioni ufficiali della politica UE, ma questo suona come più un auspicio piuttosto che come una certezza, con un senso di forte disorientamento e possibile disillusione per i consumatori di energia.

Il confronto con altre impostazioni di politica energetica, più attente ai costi dell’energia, evidenzia le criticità della politica UE: un esempio chiarificatore è la situazione di percepito disagio, di inferiorità e incapacità di reazione rispetto al provvedimento IRA (Inflation Reduction Act) degli USA, lanciato nell’estate 2022, e con effetti già nel 2023. Non sono isolate le critiche derivanti dal fatto che le misure USA producono una riduzione dei costi dell’energia, che invece risentono negativamente delle misure UE. L’ulteriore amara riflessione è data dal fatto che le risorse finanziarie introdotte dall’UE non sono certo inferiori a quelle USA, ma purtroppo impiegate con modalità a volte difficili da comprendere.

L’INADEGUATA DIFESA DEGLI INTERESSI DEI CONSUMATORI DI ENERGIA IN UE

Un riferimento a quanto recentemente accaduto in UE per il mercato dell’elettricità evidenzia come gli interessi dei consumatori europei di elettricità non siano adeguatamente rappresentati, anche a causa di messaggi poco fondati sui fatti.

Ci riferiamo alla crisi dei prezzi dell’elettricità, causata in primis dalla ripresa post-COVID già nella seconda metà del 2021, e poi esacerbata dagli eventi conseguenti all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Prezzo dell’energia elettrica sui mercati europei

Come noto, la crisi non è completamente rientrata, anche se siamo ormai lontani dai picchi registrati in passato (come nell’agosto 2022). Il danno diretto per i consumatori di elettricità, attribuibile alla crisi, è rappresentato dall’aumento dei prezzi di produzione di elettricità da gas naturale, con quote variabili da meno del 10% in Germania a più del 40% in Italia. Il trasferimento degli alti livelli di prezzo a tutta l’elettricità prodotta non è conseguenza della crisi, ma del meccanismo di formazione dei prezzi in vigore per il mercato elettrico. Tuttavia, i messaggi prevalenti hanno attribuito la totalità dei danni ai consumatori di elettricità alla crisi e non è stato affrontato il tema di come rimediare alla ‘’moltiplicazione’’ dei danni per i consumatori, e/o evitare una replica degli eventi accaduti.

Di fatto, nelle discussioni alla base della proposta di riforma del mercato elettrico in preparazione, e prevista per fine 2023, la discussione di possibili modifiche all’attuale sistema di formazione dei prezzi (system marginal price) è assente.
Un ulteriore fatto da evidenziare è costituito dai frequenti messaggi che basano l’opportunità di spingere la diffusione delle fonti rinnovabili elettriche sul basso livello dei loro costi rispetto al passato. Ciò solleva perplessità nel consumatore elettrico che, pur in presenza di costi ridotti, paga prezzi molto alti.

LA DIFESA DEGLI INTERESSI DEI CONSUMATORI

La percezione sulla crisi energetica che avrebbe colpito l’Europa in primis e poi ancora più violentemente l’Italia per la sua particolare esposizione al gas si è palesata ad inizio 2022 prima dello scoppio della guerra Russia-Ucraina.

A giugno 2020, nel pieno del Covid, il gas al TTF (mercato di riferimento europeo) si scambiava a 5 €/MWh. A giugno 2021 sfondava la barriera psicologica dei 30 €/MWh. Da lì iniziò una cavalcata che spinse il benchmark europeo del gas ai record del 5 ottobre ‘21 (126 €/MWh) e del 21 dicembre ‘21 (180€/MWh).

Poi un calo e, con l’invasione Russa dell’Ucraina il 23 febbraio ‘22, una nuova cavalcata che sfonda ogni barriera: 227 €/MWh il 7 marzo ’23, 338 €/ MWh il 26 agosto. Infine, il crollo ad inizio primavera 2023 a valori di 30 €/MWh.

Prezzo del gas spot sui mercati europei

Si è scritto molto sull’andamento del TTF in questi mesi ed anche sul PSV (piattaforma del mercato nazionale); si sono esaminate le cause, tra cui i vincoli di offerta, la crisi congiunturale dell’eolico nel mare del Nord e del nucleare francese, l’uso dei gasdotti come arma di offesa da parte della Russia, le sanzioni europee, la corsa a riempire gli stoccaggi la scorsa estate, l’inverno mite in Europa e, infine, la mancata ripartenza della Cina.

I governi europei hanno reagito in modo disordinato. L’ACER, Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia ha censito più di 400 interventi da parte degli Stati membri dell’Unione europea, tra misure di sostegno ai consumatori e manipolazioni più o meno transitorie delle regole di mercato. L’aumento dei prezzi e quindi dell’operatività sulle borse, ha comportato un’escalation delle spese, per partecipare ai mercati, producendo una drastica riduzione degli scambi e della liquidità.
Ci si è molto concentrati sull’impatto sulle finanze pubbliche derivante dai vari sgravi e crediti di imposta, creando una distribuzione diseguale degli aiuti in Europa, frammentando le politiche e creando un oggettivo vantaggio per quei Paesi che avevano maggiore spazio fiscale.
Ci si è concentrati meno sul funzionamento dei mercati, per citarne solo alcuni di essi, il price cap sul gas a livello europeo, il tetto ai ricavi per i produttori infra-marginali di energia elettrica (180 €/ MWh a livello europeo), l’obbligo di rateizzazioni ed il divieto di variazione unilaterale dei contratti. La discussione sul disaccoppiamento della formazione dei prezzi elettrici da quelli del gas, per ora non ha dato risultati, ma ha alimentato dubbi ed incertezze, così come le svariate norme sugli extraprofitti, che hanno messo in difficoltà alcuni operatori ed esentato altri.
Il governo Draghi (fino ad inizio 2022) non aveva varato alcun provvedimento a salvaguardia dei costi energetici per le imprese, limitandosi a fare interventi per le famiglie, per il terziario, le micro imprese e le piccole utenze fino ai 16,5 KW di potenza impegnata per l’elettrico e riducendo gli oneri di sistema anche sul gas.
Finalmente il 19 gennaio 2022 si è aperto il primo tavolo di confronto interministeriale al Ministero dello Sviluppo Economico con Confindustria, che ha presentato un pacchetto di misure di carattere tecnico del valore di circa 7,5 miliardi di euro.

Tra queste spiccava per primo e più importante l’incremento della produzione nazionale di gas naturale di circa 3 miliardi di Smc (standard metro cubo), con una cessione ai clienti “gasivori” a prezzi regolamentati di 16/20 c€/Smc, misura che doveva essere anticipata virtualmente al 2022, in attesa della messa a regime del maggior sfruttamento dei pozzi nazionali.
La seconda linea di intervento consisteva in un aumento della remunerazione del servizio di interrompibilità tecnica dei consumi di gas e di quelli elettrici, prestato dai soggetti industriali.
La terza un intervento sulla fiscalità e para-fiscalità del gas (componenti RE e Ret), nonché un incremento delle agevolazioni per i settori energivori con riferimento alle componenti parafiscali della bolletta (la Asos).
Inoltre, un intervento di efficacia immediata sarebbe stata la cessione di energia elettrica rinnovabile da parte del GSE per un quantitativo di 25 TWh e trasferita ai settori industriali a rischio ad un prezzo di 50€/MWh. Per ultimo l’incremento dell’ammontare della compensazione dei costi indiretti derivanti dal meccanismo di scambio delle quote di CO2 per i settori rientranti nella lista “carbon leakage” fino al limite massimo ammesso dalla normativa europea pari al 75%.

Sistemi di importazione gas in Europa
Nel decreto-legge n. 4 del 27 gennaio 2022 “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico” (poi convertito con modiche con la Legge 28/3/2022, n° 25), delle misure richieste quasi nulla è stato introdotto, salvo l’azzeramento totale degli oneri di sistema su gas ed elettricità, mentre è apparso il “credito di imposta” per le imprese energivore nella misura del 20% per la sola componente commodity sull’energia elettrica.

La misura si è poi progressivamente estesa a tutte le imprese, al gas, all’autoproduzione da cogenerazione, con un incremento delle percentuali di sconto in funzione dell’andamento dei prezzi, arrivando a percentuali del 45%.
Possiamo affermare che, seppure considerata una misura emergenziale, è quella che ha permesso al sistema industriale nazionale di superare indenne l’aumento dei costi energetici nel 2022 e parte del 2023 (primo semestre).
Il costo stimato per le finanze pubbliche per il solo 2022 è circa 60 miliardi di euro.

Quanto è emerso nel corso del 2022 è stato ancora una volta la mancanza di un mercato comune europeo per l’energia elettrica e del gas, le numerose direttive emesse periodicamente dall’ormai lontano 2000 non hanno inciso sulle dinamiche nazionali, anche per la mancanza di una infrastruttura comune adeguata.

Il nostro Paese ha avviato una serie di iniziative per ricercare nuove forme di approvvigionamento del gas, trovando disponibilità presso i circostanti Paesi del nord Africa e dell’area medio orientale, ed incrementando gli acquisti di GNL, oltre all’acquisto da parte di Snam di due nuovi rigassificatori galleggianti di cui uno nell’alto Tirreno (Piombino), già operativo, e l’altro nell’alto Adriatico (Ravenna), in funzione per fine 2023.

Flussi di importazione gas in Italia nel 2021 e nel 2022
Nell’estate si è poi avuta la rincorsa europea al riempimento degli stoccaggi di gas che alla fine dell’inverno 2022 erano pericolosamente vuoti, in particolare nell’area del nord Europa.
Questo ha comportato la necessità di attivare procedure specifiche da parte dell’ARERA, Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, in quanto gli operatori commerciali erano nell’impossibilità economica di eseguire tale operazione poiché il prezzo estivo era maggiore dell’invernale.
L’Italia, tuttavia, si è presentata all’appuntamento con la stagione invernale con gli stoccaggi pieni oltre il 90%, beneficiando anche di un inverno mite.

Inoltre, gli alti prezzi delle bollette hanno contribuito sicuramente a sviluppare nei cittadini una maggiore attenzione e accortezza dei propri consumi favorendo una riduzione dei consumi domestici di quasi 10 miliardi di Smc.

Una cosa che è mancata per il settore chimico nell’ambito del meccanismo del credito di imposta è stata la possibilità di applicazione anche agli utilizzi non energetici del metano, che rappresentano una quota significativa del consumo industriale arrivando a pesare per circa 800 milioni di Smc, esclusi quelli imputati alla raffinazione del petrolio.

Parlando del petrolio che rimane senz’altro la fonte energetica principale ed il motore per le attività industriali, la sua quotazione è rimasta sostanzialmente costante durante questo periodo di crisi, contribuendo in modo positivo ad una ripresa dell’economia mondiale dopo lo stop dovuto al Covid.

Prezzo del petrolio sui mercati mondiali



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